Non si tratta della recensione di un libro ma di dieci poesie soltanto, un po' particolari, come si evince dal titolo che Calogero Cangelosi ha voluto a queste dare: "Dieci stanche poesie".
Sono tutte accomunate dallo stesso personaggio, una vecchia, e dalla stessa scena: una panchina in una villa su cui sta seduta la vecchia che ricorda la sua vita passata. Così infatti spiega l'autore all'inizio, ponendo tra parentesi: (Seduta su di una panchina di una villa senza speranze una vecchia ricorda). Sembra il prologo che introduce un'opera teatrale, e il lettore avverte subito Calogero Cangelosi quasi come un regista che muove le fila della situazione.
La scena è statica ma non c'è nessuna monotonia, perché la molteplicità dei ricordi conferisce dinamismo, e inoltre non annoia sebbene l'atmosfera che vi serpeggia indulga alla tristezza , perchè, or qua or là, l'autore, che fa capolino nelle parole della vecchia, vi inserisce concetti che offrono spunti di riflessione e attraggono la mente di chi legge.
Non si tratta di un romanzo con una narrazione più o meno ordinata delle vicissitudini di una esistenza, ma sono poesie. E la poesia, si sa, è come il sogno, racchiude in sé una certa vaghezza e bizzarria, motivo per cui non si potrebbe escludere neanche che non si tratti sempre della stessa persona e possiamo immaginare che la vecchia sia uno stereotipo, una figura convenzionale che, per associazione di idee, ben si adatta alla stanchezza. La stanchezza infatti è propria di chi è vecchio.
Ma direi ancora di più. Siccome la vecchia in questione è, come rileva il poeta, senza speranze, e chi è senza speranze è già vecchio anche se è giovane, nulla impedisce neanche di vedere sotto l'immagine della vecchia proprio invece la giovane , ma una giovane appunto senza speranze.
E l'essere senza speranze significa rassegnazione. Ecco mi pare questo il nucleo di tutte quante le dieci poesie. Il filo che le lega. Rassegnazione nella sua accezione più negativa, di rinuncia alla lotta, accontentandosi di relegare la felicità soltanto nella sfera del sogno, vivendola solo lì, come nella poesia "Tra povere e cielo".
Da qui l'esortazione del poeta: "Ferma il tuo sorriso, ragazza che puoi prendere a pedate chi fa ombra ai tuoi sogni; non arrenderti mai". Da notare che si rivolge a "ragazza".
Con la rassegnazione l'incompiutezza: "donna senza traguardi", la guerra che "Allontana amori e speranze / e distrugge la valvola dei sogni", "…sprofondare negli affetti mancati", "…ha distrutto sogni e speranze / chiudendo i ritorni", "…ma il colore della vita / ha fermato i miei ritorni", "il cuore ha perso ogni speranza".
"Il cielo prende i colori del tramonto di tutto: amori e speranze". Perfino "Il sole aveva un colore stanco".
E' ricorrente nella poesia di Calogero Cangelosi qui la mancata realizzazione dei sogni, l'infrangersi degli ideali contro la dura realtà, sia essa la guerra o altro, il crollo delle speranze.
A questo punto emerge la attualità di queste dieci stanche poesie. Non è quella odierna una società stanca? Una generazione vecchia perché senza futuro? Una gioventù triste perché defraudata dei sogni? Non scorgiamo esseri umani dagli occhi spenti senza la luce della speranza?
Ma non c'è rassegnazione in Calogero Cangelosi che, ricordiamo, esorta: "Non arrenderti mai", e invita a respingere decisamente chi oscura i propri sogni.
Quindi nella diffusa malinconia che aleggia in tutti i versi, c'è però un messaggio forte: uscire dalla rassegnazione, lottare e cambiare le cose.
Nell'atmosfera senza speranze c'è dunque un grido di speranza, quello del poeta, che non cede e non ammette la rassegnazione.
Ancora due aspetti da rilevare in Calogero Cangelosi, e cioè il primo la considerazione della sofferenza: "Pittore che cerchi / negli orizzonti della storia / tratti rubati a sfumature d'amore / fèrmati negli occhi della sofferenza / colora la vita / in tutte le sue pagine", e il secondo l'anelito a ricercare nella esistenza delle persone, cioè nella storia, nelle vicende umane, ricercare, dicevamo, il senso della vita: "Agli occhi del poeta / il difficile sentiero dei sentimenti / chiede alfabeti universali / per scavare nel senso della storia". In queste parole Calogero Cangelosi tocca il vertice, che sfiora la trascendenza, la vita soprannaturale, perché Dio parla e si rivela pure nella storia.
Un ultimo cenno ancora allo stile di queste poesie stanche. Lo stile non è stanco, ma vivo. Di buon tono, elegante, colto, ma senza fronzoli né ricercatezze, essenziale, chiaro. L'espressione costituisce un tutt'uno tra pensiero e parola. Non è il pensiero infatti che si veste di parola ma è pensiero che si fa parola, in una compenetrazione come quella di anima e di corpo. Una poesia pregna di significato, che si addentra nella realtà per penetrare attraverso questa, nei meandri dello spirito, e dello spirito universale. E' propria della poesia, infatti, la universalità.
Maria Elena Mignosi