Cavallo Franca - Scàmpuli ri cielu

Scàmpuli ri cielu

La voce poetica di Franca Cavallo sgorga dalla deliziosa e rinomata cittadina di Modica, sulle pendici dei Monti Iblei, di cui ella mette in risalto, in una poesia dal titolo appunto Muòrica, il paesaggio suggestivo ("pari 'n presepiu fattu ri 'n artista"), la indole benevola degli abitanti (" 'i gghienti sunu affabili e amurusi"). Franca Cavallo, insegnante elementare per più di un trentennio, ha profuso il suo impegno anche in varie iniziative didattiche ed educative tra cui il progetto "Modica nei quartieri", ed è stata tra i fondatori del "Caffè letterario Salvatore Quasimodo". Ha scritto quattro libri di poesie in dialetto, Nuddu ti cerca, Tiempu e rivuordi, Rumani tô cuntu, Scampuli ri cielu. Per la sua opera ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti e prestigiosi premi. Andiamo allora ad esaminare l'ultima sua silloge di poesie dal titolo appunto Scampuli ri cielu. Ci colpisce immediatamente la copertina del libro, che riporta un dipinto del pittore Piero Guccione, raffigurante, su uno sfondo di un celeste delicatissimo, un albero bianco perché investito dallo splendore della luna. Il titolo è proprio L'albero bianco e la luna. E questo già ci introduce in un'atmosfera paradisiaca dove spicca il candore. Cominciando a sfogliare le pagine ci imbattiamo subito nella poesia, la prima, intitolata Scampuli ri cielu che dà il titolo all'intero libro. Da questa e dalle successive, come in altre specialmente verso la fine, affiora una visione della vita fatta di difficoltà, di lacrime, di "scali e scaliddi" come il suo paese, irta di spine: "E arreri...a ciantari spini", che sembra contrastare con il clima celestiale della copertina. Ma vedremo, nello sviluppo della indagine sull'anima della autrice, mediante i suoi versi, come si approderà gradatamente a questa visione, quasi beatifica. Procediamo con ordine. Franca Cavallo , sin da adolescente, dimostra uno spirito contemplativo che la spinge ad abbandonarsi ai sogni, a gustare momenti di estasi cui la induce la contemplazione della bellezza del creato. " 'I ciercu ancora i sonna / ri quannu / palummedda janca, / nto cielu cuntava i stiddi / ntê notti 'ri stati / 'n campagna". Spirito che manterrà sempre andando avanti negli anni: "La menti sempri persa e 'nchiffarata / passia supra li nuvuli". La testa tra le nuvole: un segno innegabile di animo poetico. Certamente, per tutti nell'età che si affaccia alla vita, le aspirazioni sono fatte di gioia. Soltanto di bene. Ma crescendo ci si accorge che la vita è fatta anche di male. Si cominciano ad avvertire le note stonate: "…pinzannu ê sonna / ri dda palumma janca / ca spirieru ccâ vuci / ri 'na chitarra scurdata". La spensieratezza rimane una prerogativa forse solo dell'infanzia: "Quantu rivuordi ansiemi a tia, Tinuzza!...quantu curruti e gghioca spinzirati!...Incièumu la strata ri risati!" Begli anni che non si dimenticano mai, e nemmeno i luoghi: "…râ casina rê bedd'anni arrieri". Poi, finita l'età dell'innocenza, cominciano possibilmente le delusioni nell'amicizia: "Ntra tutti i sintimenta / ca fanu cuntintizza / ô primu puostu truovi / ri certu l'amicizia. Ntâ chistu sintimientu / iu sempri ci àiu crirrutu / 'u cori àiu spissu ratu / dispizzi àiu ricivutu!" La costatazione del male, che si insinua pur nei sentimenti più belli, lascia amarezza. Ecco allora che subentra nell'animo di chi subisce queste prove, un sorta di pessimismo, che nemmeno definirei così, perché invece è l'evidenza della realtà. È realismo. Che si tinge certamente di una coltre di nebbia, di tenebre. Di tristezza che offusca l'anima. E' l'esperienza. Tanti i proverbi che la rispecchiano tra i quali: "Ô tintu nun ci rènniri 'a parigghia!" Esperienza che si arricchisce col tempo, ma rende comunque l'animo triste. E il tempo diventa come un patrigno, un tiranno, dal cuore arido, che martella la esistenza: "Ora / siccagnu è 'u tiempu / ca picunia sta vita!" Tempo, come lo spazio, elemento imprescindibile della vita terrena. E la vita terrena diventa allora come una "nêgghia", una nebbia. Torbida, oscura, senza luce. E ciascuno si ritrova a fare la sua esperienza, la sua propria, personale, e perciò ci si sente soli: "Sula/ m'arritruovu / a natari / ntâ stu smaniusu / mari… Sula / vaju arrancannu / circannu 'i nun m'annijari". Di fronte alla scoperta del male nella esistenza umana, allora subentra nella poetessa uno stato d'animo di desolazione, che ella paragona all'inverno, stagione in cui a Modica arriva la gelata, il grande gelo, e tutto intorno è silenzio ed è una gran pena: "'Ntuornu è silènziu, nun si senti "ciu"…/ l'arvuli, l'irvicedda, l'armaluzzi / sunu agnaliati: è nu gran pinìu! / Scasau lu friddu, e fora la jalata / tuttu cummògghia comu cutra 'i sita". L'amarezza si fa in lei più cupa quando, volgendo lo sguardo agli avvenimenti esterni, non personali, cioè della società, si accorge di tante piaghe, tante sventure che si verificano tutt'intorno. I giovani senza lavoro: "…lu travagghiu è allammicatu / e i picciuotti sunu tanti"; i vecchi abbandonati, nell'indifferenza e nel disprezzo, ai quali non resta altro che affidarsi alla Provvidenza divina: "Rumani penza Diu"; i migranti, come canne al vento, ignari della loro sorte: "Canni ô vientu"; i politici corrotti: "…sta sucità currutta / ca pigghiau la via r'acìtu!" E ancora: "Ciovi supra sta terra martoriata / ri lacrimi, ri sangu ri 'nnucenti / e sientu la mê rabbia 'ncatramata / viriennu 'a cattiveria 'i tanta genti. / …ingannu, farsità, marvagitati". E allora accorata prorompe la preghiera che si leva verso la Madonna, la Immaculata Matri: "…sciuogghi li 'ruppa ri 'sta stirpi 'ngrata / alluntana ri nui l'affanni e 'a verra!" E la poetessa perfino immagina che Gesù così si volga alla umanità che ha tanto deviato: "-Ma lu 'nsignamentu miu / prôpia a nenti bi sirvìu?!-" A questo punto Franca Cavallo auspica: "Ci vulissi 'n cupiuni rinnuvatu / 'n cupiuni scaccaniusu e risulenti / ca n'anzignassi a gòdiri rô nenti / e scutuliassi i mali rô passatu". E rivolgendosi al vento, così lo supplica: "Fammi ancora nu piaciri: / 'nsiemi ê pampini e ô pruvulazzu / scupa i vaij ri stu munnu pazzu!" La stessa immagine di qualcosa che, come il vento, travolge tutto, la ritroviamo nella poesia che riguarda la piena. Essa rappresenta il pericolo che incombe sulla gente nel provocare l'alluvione. La poetessa, in questo frangente così increscioso, rievoca la figura della nonna, che, dinanzi alla minaccia, ricorreva ad un rimedio immediato: la preghiera: "E la cina calava!...-e-…'a nanna…prijava". La preghiera, è dunque per lei un potente rimedio contro il male. Analoga alla piena è la fiumara d'acqua nella cava, che scende furiosa: "Ciumara r'acqua / ntâ cava / curri ruvulusa". Questa però è vista in positivo in quanto ha una funzione rigenerativa perché purifica dai mali passati: "lava / 'a rùgghini rô tiempu". E la sua immagine, che "Cunnuci / rittu rittu / a pirdunari!", è un invito per gli uomini affinchè ricorrano ad uno sforzo di volontà per perdonare, e anche per pentirsi perché nel perdono c'è implicito il pentimento. Si perdona chi è pentito. O, se non si è pentiti, certe altre volte la altrui benevolenza, dimostrata col perdono, può condurre al pentimento. Sono due elementi, perdono e pentimento, strettamente connessi. Bellissima allora la affermazione, recisa, della poetessa quando conclude che il perdono non è impossibile: "Essiri cava / si po'!" E' un atto di fede nella capacità dell'uomo. Essere cava si può. Perdonare si può. Il perdono, oltre la preghiera, è dunque per lei un altro rimedio potente contro il male. E ora ci inoltriamo nel cuore della poesia di Franca Cavallo, andando al nucleo, al centro, lì dove si è originato il motivo ispiratore dell'intera silloge; andiamo cioè agli Scampuli ri cielu. Ma che cosa sono questi scampoli di cielo? Quale ne è il significato? Sono sprazzi di luce, sono folgori di felicità, cui anela l'animo della poetessa. Però non sono da intendere come quei momenti di serenità cui aspira una persona tra le angosce della sua vita. No. Perché non è questo il caso di Franca Cavallo, che è una persona serena, pienamente realizzata, sia sotto l'aspetto familiare (è madre di famiglia) che professionale, e perfino culturale dati i suoi molteplici interessi in questo campo. Allora si tratta di qualcosa di più. Che va oltre. Ma oltre che cosa? Oltre il tempo, oltre lo spazio. Oltre cioè la vita terrena. Qualcosa che presuppone elevatezza spirituale in chi li prova questi scampoli di cielo, in quanto non è di tutti arrivare a questi vertici. Per comprendere bene questi momenti, questi scampoli di cielo appunto, vorrei riportare le parole che una volta mi disse una giovane, che aveva coronato il sogno di un matrimonio felice e aveva avuto una figlioletta. Mi disse: "Nel momento in cui mi sono ritrovata con mio marito e questa bambina e la guardavamo e ci guardavamo estasiati, in quel momento io ho capito cosa significa "vita eterna". Ecco il significato di scampoli di cielo. Sono quei momenti, della vita terrena, così felici che danno la sensazione di trascendere il tempo, di travalicare lo spazio per entrare in un'altra dimensione, in uno stato di assolutezza che non è più di questa terra. E' una dimensione soprannaturale. Divina. Sono attimi in cui si gusta il cielo. Sono gocce di Paradiso. Ma quale è la condizione essenziale affinchè questo si verifichi? E' quel che un domani troveremo veramente lassù. E' l'amore. Ma un amore grande, vero, puro. Autentico, genuino. Come sarà l'amore di Dio. Candido come è candido l'albero bianco investito dalla luna. Condizione essenziale è perciò il candore del sentimento. E provare tra gli esseri umani il candore del sentimento è certamente un preludio di paradiso, un preludio di vita eterna. Sono attimi che si verificano con l'istantaneità del fulmine. Non durano a lungo, per la loro forte intensità. Poi c'è il richiamo immediato della terra con la sua imperfezione e la sua labilità. E altrove, nella poesia 'N ucciddu 'i suli, in cui la poetessa riprende il tema di Scampuli ri cielu, così conclude che, come per questi attimi di felicità, divina oserei dire, che già abbiamo considerato, così pure per un occhiolino di sole che spunta lieve lieve nel cielo, allora si ha la sensazione che l'inverno non è poi così freddo: "…u' mmiernu / nun è puoi raccussì friddu / se c'è 'n ucciddu 'i suli / ca nesci aruci aruci / ri n'cantiddu!" E sta qui il senso della vita. Che si compendia tutto nella ricerca della felicità che consiste nell'amore. Amore che è l'unica verità, l'unica cosa giusta, vera, che fa dell'uomo veramente un uomo. Amore in seno alla società, nei rapporti tra gli uomini, e allora veramente l'inverno non è poi così freddo, perché c'è la benevolenza, la solidarietà, la pazienza, tutti gli aspetti propri dell'amore, che rendono gradevole la convivenza con gli altri. Amore limpido, cristallino, disinteressato. Infatti "Aspittannu carizzi / palòri ri cunfuortu / n' ucciatedda r'amuri / pi dari sènziu / a stu nuostru campari". Amore puro che si assapora innanzi tutto nella madre: "Pienzu ê carizzi rilicati / pienzu ê palori manzi / ri me matri / cumpuortu 'ranni / ammienzu / ê timpistiati ri la vita". Che poi gli scampoli di cielo, come pure l'occhiolino di sole, introducano in una dimensione di eternità, l'autrice lo esprime nel riferirsi ai ricordi: "quanta 'rucizza e quanta nustargìa!", e afferma: "…nun mori cu' havi tutti sti rivuordi!" Cioè chi ha dolci ricordi, ricordi d'amore, non muore mai. Ecco perché allora la vita si colora di eternità, perché l'amore è più forte della morte, ed è l'unica cosa che rimane da questa vita terrena. Tutto il resto si dissolve, tutta la nebbia di cui è avvolta la vita svanisce, come è nell'aspirazione della poetessa: "Risiassi ca sta nègghia / ccu 'na carizza 'i suli / si scuagghiassi / pi pruìrimi scàmpuli ri cielu". E' qui che si raggiunge la quiete: "Circava lu sô cuetu / nti 'na sbrizziata 'i suli / nti l'argentu / râ luna". Cercava la quiete nel calore del sole e nell'argentea purezza della luna. La felicità di questi momenti è una quiete assoluta. E' allora il risveglio. Come la armonia che si ripristina quando compare il sole dopo il gelo: "Ma quannu 'u suli cerni lu sâ fuocu / e tutt'attuornu puoi lu scutulìa / r'incantu s'arrusbìgghia chistu luocu / si sciogghi 'u gelu, torna l'armunìa!" Implicito è nel desiderio degli scampoli di cielo allora l'anelito della poetessa alla genuinità, alla autenticità, alla purezza. Via le maschere sotto cui spesso la gente si cela. Via la falsità, l'ipocrisia: "Ni stu tiatru ri la vita / nunn'è oru socchi luci". Spesso ognuno "…sutta sutta / porta 'a màschira 'i cartuni". Auspica dunque un risveglio: "Ri luci nova, l'arba ognunu aspetta!" Dal male al bene. Come avviene nella natura: "Chi spittàculu arrijala sta natura / quannu 'a bedda staciunu accorda 'u cantu / quannu lu virdi nuovu s'annamura / ri la campagna tutta e ni fa un amantu!" La natura, nella poesia di Franca Cavallo, fa un tutt'uno con gli stati d'animo; l'abbiamo osservato nella poesia sull'inverno in cui la desolazione del paesaggio si fonde con il sentimento della tristezza; nella poesia sul risveglio invece l'alba con la speranza. Oppure ogni fenomeno della natura ha la sua funzione come nelle cose umane: la piena, la fiumara d'acqua nella cava, o ancora il vento, la pioggia. E la sua poesia, che ha la forza di rendere viva la descrizione, ci appare quasi come una pittura in versi. Lo possiamo notare anche nella poesia sul tramonto: "Quannu lu suli appòja la sô testa / supra ô ciumazzu ri la muntagnòla / sbuòmmica nu gran fuocu tuut'attuòrnu / 'npacu a sta terra ca si junci ô cielu / na l'ùrtima taliata ri lu jornu". Così quando la poetessa parla della Sicilia, la sua terra natale, sempre in termini positivi: "…talìu stu beni e l'arma mia cunzuòlu!" e la descrive : "Nascì ùnni lu suli àvi la naca / e mari e terra sempri sbampulìa, / ùnni l'azzòlu 'ntuòrnu ni sduvàca / nu cielu lìmpiu ch'è 'na majarìa". E come è contenta della sua Sicilia, così è fiera del dialetto dell'isola: "Iu scrivu 'n sicilianu…e mi ni vantu!" E spiega : "Lu nuostru dïalettu, cari amici, / è musica ca nasci ri 'ntô cori / scurri comu lu sancu ntra li vini / e n'ancantìsima cchê sâ palòri". E' consapevole che il dialetto purtroppo corre pericolo oggi di estinguersi: "Rogni gghiornu ca passa va scunciennu / comu cira ca scunci apprissu ô santu / comu li jurnateddi ri lu 'mmiernu / ca 'ntimpunnenti su' ntô scuru funnu". Ma Franca Cavallo è donna forte e tenace, e non si arrende: "Iu nun m'arriènnu, no: ci mintu l'ali / e 'a fazzu abbulazziari anzièmi a mia". E chiede alla sua Musa di non cessare mai di ispirarla: "Nun mi lassari sula, Musa mia…sciuògghi lu cantu comu dia amurusa / e l'ali minti a la mê fantasìa". E aggiunge: "Tu sî lu mê cunfortu, la mê via / lu faru ca l'allustru mi pô dari". Per Franca Cavallo il poeta, è come "…cardinnu ca nun perdi mai valìa / e sbulazziannu va ccu lu sô cantu e la sô fantasia!" E ancora: "comu furgiaru 'ntrizza li palori / … p'ammurtalari gghioi, biddizzi, peni". Anche la poesia che immortala gioie, bellezze e pene, ha il potere di andare oltre la morte. E ora Franca Cavallo coglie un'altra caratteristica della poesia, quella di sublimare la realtà, non nel senso di far apparire bello quello che è brutto, ma nel saper cogliere il valore positivo anche da quel che positivo non è, come il Signore che sa dedurre dal male il bene "…faciennu r'ogni luocu nu jardinu", oppure "ri li spini ni fa canzuni aruci / li petri scogghi nta li cantuneri / l'alliscia, l'allustrìa, ci runa vuci". E mi viene in mente ciò che disse una volta una poetessa: "La poesia fa risplendere il sol maggiore nel la minore", riesce a svelare cioè il tono più elevato nel tono invece più basso. Il poeta è per Franca Cavallo un "jardinieri", che sa trasformare un qualsiasi campo in un giardino, conferendo dunque armonia e bellezza. Significativa infine allo scopo di comprendere ancora più a fondo il carattere della nostra poetessa è l'ultima poesia di questa silloge, "Dètica", ovvero "Dedica". Ella si rivolge a chi insegue sogni nella vita ( ed ella ci è apparsa un animo sognatore); a chi è ostinato, non si arrende ( e così è pure lei, tenace); a chi vuole andare sempre avanti, vuol crescere, migliorare e fare sempre di più ( oltre che insegnante si è prodigata in tante altre iniziative). E allora azzarderei una ulteriore interpretazione. Perché l'albero nella copertina? L'albero simboleggia la crescita, il dare frutti, la resistenza, e allora nell'albero io ci vedrei adombrata proprio la figura di Franca Cavallo. Una donna determinata, sognatrice, tenace nel realizzare i suoi ideali; una donna autentica, genuina, dai sentimenti puri, candidi, e che aspira a qualcosa di grandioso, che supera il tempo e lo spazio, qualcosa che sa di eterno, di soprannaturale. Aspira nell'inverno di questa terra, a un occhiolino di sole, a quegli scampoli di cielo, che facciano sì che l'inverno non sia poi così freddo.

Maria Elena Mignosi

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